Fare servizio civile è bello? No, è necessario

di Daniele Biella (Vita, 04/07/2013)
Intervista a una delle poche persone che ha partecipato da dentro il sistema alla nascita del Servizio civile nazionale. E che, nel nuovo ruolo, ora provoca la ‘vecchia’ politica: “i giovani oggi osano e ci indicano la strada, rendiamo il Scn un pilastro della Repubblica”.

 

“Basta azioni per i giovani, ci vogliono azioni con i giovani. Servizio civile in testa: politici, la smettiamo con il leit motiv ‘è una bella esperienza ma non ci sono soldi per rilanciarla’, e impariamo a dire ‘è un’esperienza necessaria e quindi dobbiamo garantire i fondi per renderla stabile’?”. Signore e signori, a voi Giovanni Bastianini, responsabile servizio civile per la Protezione civile ma soprattutto, da una settimana neopresidente della Consulta nazionale, l’organo che raccoglie istituzioni, enti e volontari in Scn, Servizio civile nazionale. Vita.it l’ha raggiunto per quella che doveva essere un’intervista di inizio mandato, ma si è rivelata molto di più: una visione a 360 gradi dell’esperienza di politiche giovanili più riuscita del XXI secolo, ora in ginocchio ma “sui nastri di partenza per la rinascita, se saremo bravi a unire le forze”. Bastianini c’era, nel 2001, quando il Scn è divenuto legge. Anzi, c’era anche prima, negli anni cruciali della fine del servizio militare obbligatorio: “nel 1999, l’anno prima del cambiamento, ero all’Unsc, Ufficio nazionale del servizio civile e incaricato di gestire i rapporti con gli obiettori di coscienza: vuole sapere quante e-mail mi sono arrivate? Ne ho contate almeno 10mila”.

Bastianini, iniziamo dall’anagrafica: parla di giovani, quanti anni ha?
Ne ho 64. Piuttosto in là con l’età, ma mi mantengo giovane perché lontano dalla pensione: nei miei lavori sono sempre stato un co.co.co, quindi vicino alla precarietà delle nuove generazioni e ai loro ragionamenti, perché sono anche i miei. Sono sposato, ho una figlia, sono nato a Torino ma da decenni vivo in Emilia Romagna, e da lì faccio la spola su Roma, da quando, dopo anni di lavoro in un Centro di formazione professionale, mi sono laureato in Scienze Politiche e ho conosciuto Beniamino Andreatta, che dal 1986 mi ha voluto con sé nel suo percorso politico.

Quando è avvenuto l’incontro tra lei e il mondo del servizio civile?
Era il 1996, Andreatta, allora ministro della Difesa e io uno dei suoi consiglieri, mi prese in disparte e mi disse: “vorrebbe dare un’occhiata all’irrequieto mondo degli enti che ricevono gli obiettori?”. Stavamo parlando, ai tempi di almeno 100mila persone all’anno che decidevano di non fare il servizio militare: un patrimonio enorme, da non lasciare senza risposte. Da allora ho avuto un rapporto costante con i rappresentanti degli enti, così come prima di Levadife (l’Ufficio che si occupava del servizio militare e civile, ndr) e poi dell’Unsc, Ufficio nazionale servizio civile. Ho partecipato alla stesura della legge 230 del 1998, la prima a riconoscere il servizio civile come alternativa a tutti gli effetti del servizio militare, e importante perché da allora la competenza in merito  della Presidenza del Consiglio dei ministri e non della Difesa. Poi ho collaborato alla nascita, con la legge 64 del 2001, del Scn e successivamente sono entrato a far parte della Protezione civile. Infine eccomi presidente della Consulta nazionale.

La Consulta, eccola. Quanto potere ha oggi e che impronta darà alla sua presidenza?
La Consulta ha una doppia valenza: è l’organo di consultazione dell’Unsc, (oggi parte del Dipartimento politiche giovanili, ndr) e interagisce molto con esso, perché è un’occasione di dialogo fondamentale. Ma soprattutto è una cassa di risonanza di quello che vuole essere il Scn futuro: oggi c’è molto fermento, tanto che non conta il presidente, quanto il carattere collettivo di chi partecipa, oggi più che mai dato che il servizio civile è in forte crisi. Il fermento è dato anche dal fatto, e qui torno all’importanza dei giovani, che per la prima volta la voce dei volontari, tramite i loro rappresentanti, si fa sentire in modo corale, cosa che prima non usavano e, forse, non osavano. Oggi vogliono esserci in ogni tavolo di discussione, cercano il confronto con gli enti, con La Cnesc, Conferenza degli enti di servizio civile, con il Forum nazionale, danno un segnale di movimento che dobbiamo raccogliere e rilanciare. In primo luogo verso l’anello finale, la politica: è un bene che prima delle ultime elezioni più di 70 parlamentari abbia aderito all’appello per salvare il servizio civile, e che in Camera e Senato siano entrate nuove leve che hanno ‘svecchiato’ il sistema, che sanno usare l’autobus e quanto costa un litro di latte, che provengono dal basso…

Il problema a monte, però, sono i fondi che mancano. Giusto?
Giusto. Quest’anno c’è il buco di volontari, il prossimo bando dovrebbe arrivare a settembre per 15mila posti, pochi ma compatibili con le risorse attuali, che sono gli almeno 70 milioni di euro comunicati dall’ex ministra Josefa Idem. Altro per ora non c’è, la partita va giocata in autunno al momento dei lavori sulla Legge di stabilità, è qui che dobbiamo dare il massimo per farci sentire, per dimostrare che il servizio civile non può limitarsi a essere una ‘cosa bella’, piuttosto è un’esperienza necessaria, da rendere sistematica. Bisogna essere bravi a farlo capire al Governo, una volta che ci chiederà conto: dimostrarsi uniti mantenendo le nostre diversità, essere all’altezza di rispondere alla domanda: ‘perché il servizio civile è essenziale?’. La strada degli ultimi tempi è quella giusta, ovvero mostrare a chi decide la valenza insostituibile dei progetti di Scn, stimolarsi a migliorare, cercare come integrare le esperienze nel percorso scolastico. Il governo Letta è il primo che mette davvero al centro dell’agenda i giovani: teniamolo sotto pressione, è un momento storico da non perdere. È anche il momento, fra l’altro, di una seria riforma del servizio civile, non solo legislativa ma nel modo di pensare.

Si può conciliare il Scn con il servizio civile regionale, esperienza di leva civica e altre esperienze che negli ultimi anni stanno crescendo in materia?
Certo che si può, anzi si deve. L’obiettivo è moltiplicare il coinvolgimento, in modo universale. L’importante è avere scelte condivise, senza gerarchie di volontariati più o meno importanti, perché stiamo parlando di livelli diversi, tutti meritevoli. Sarebbe ora di fare chiarezza: nella legge 64 abbiamo fatto un errore che ora genera confusione. Ovvero, il servizio civile nazionale ha senso se si parla di difesa del paese con mezzi non militari, quindi con azioni specifiche in tal senso (Bastianini è stato parte del comitato Dcnan, Difesa civile non armata e nonviolenta, fino alla sua soppressione dell’ottobre scorso, ndr). Il resto, che possiamo chiamare politiche giovanili, sociali o altro è già di competenza regionale e locale e deve continuare a esserlo. Chiamiamo ogni esperienza con i rispettivi nomi distinti, e si promuovano in un’ottica condivisa.

Come affrontare lo spinoso tema dell’apertura del Scn ai giovani stranieri?
È la legge che deve inserire tale possibilità, non bastano i Tribunali, che comunque possono servire a ricordare ai legislatori l’urgenza dell’argomento. Sul tema, del resto, già nella bozza di legge del 1998 si prevedeva il coinvolgimento di persone comunitarie ed extracomunitarie, poi però non era il momento. Oggi può esserlo, ma servono gli strumenti legali idonei per renderlo tale.

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